Foto ©Giacomo Corradini
Foto ©Giacomo Corradini
Viaggio dentro un villaggio sospeso tra tè, nebbia e memoria
C’è un luogo nel nord della Thailandia che non sembra Thailandia.
Un villaggio che parla cinese, respira tè, profuma di legno, umidità e malinconia.
Si chiama Ban Rak Thai, letteralmente “Villaggio dell’Amore per la Thailandia”.
Ma la sua storia, le sue architetture, i suoi volti raccontano tutt’altro: raccontano la Cina del passato, i nazionalisti in fuga, i campi di tè sospesi nel tempo e la vita a 1.800 metri, tra nebbia e confini.
Qui le case hanno i tetti neri e le lanterne rosse, la colazione è fatta di bao e zuppe d’anatra, e la notte… è silenzio puro.
Un silenzio che scava, come le storie dimenticate.
Ban Rak Thai nasce come colonia di soldati cinesi del Kuomintang in fuga dopo la rivoluzione comunista del 1949.
Non poterono tornare in patria.
Così si stabilirono tra le montagne di Mae Hong Son, ai confini col Myanmar, portandosi dietro lingua, cucina, architettura e soprattutto la cultura del tè.
Oggi, camminare qui è come attraversare una piega della Storia.
Tutto ti parla di identità sospese: cinese, thailandese, tribale.
Eppure, è proprio da questa fusione che nasce la magia.
Arrivare a Ban Rak Thai non è semplice. La strada è ripida, tortuosa, avvolta da foreste di pino e curve strette. Ma poi, all’improvviso, si apre lo specchio d’acqua: il lago al centro del villaggio, circondato da teahouse tradizionali, pontili in bambù e file di lanterne che si accendono al tramonto.
Ogni scorcio sembra un quadro:
le teiere che fumano sulle terrazze,
le signore cinesi che arrotolano foglie a mano,
i bambini che corrono con cappelli troppo grandi,
i tetti neri riflessi sull’acqua immobile.
Dormire in una casa del tè tradizionale è un’esperienza da collezionare nel cuore.
Le stanze sono minimali, in legno grezzo, con un tatami sottile e una vista sul lago.
Ogni mattina, una cerimonia del tè improvvisata: foglie verdi appena raccolte, bollitore di rame, silenzio totale.
La proprietaria mi parlava solo in cinese.
Ma bastava un gesto per capirsi.
Era ospitalità vera, cruda, antica.
Ho trascorso ore a osservare le coltivazioni di tè salire lungo i versanti della montagna come un tessuto vivo. I lavoratori sono perlopiù cinesi di seconda generazione o membri delle tribù Yunnanesi. I loro volti raccontano tutto.
Storie senza bisogno di parole.
Fotografare qui è un privilegio.
La luce cambia in continuazione: alba lattiginosa, mezzogiorno dorato, tramonto aranciato, notte blu elettrico.
Il riflesso del lago è un alleato: crea simmetrie perfette per chi ama il paesaggio, ma anche per chi cerca dettagli intimi.
📸 Consigli da professionista:
Usa un obiettivo da 35mm per il reportage umano e un 85mm per i ritratti ambientati.
Scatta in RAW, gestisci i contrasti in post-produzione per tenere vive le nebbie del mattino.
Evita il drone di giorno: qui vince lo sguardo lento da terra. Ma all’alba, un breve volo sopra il lago può diventare poesia pura.
La colazione migliore: ravioli di maiale al vapore e tè nero forte serviti alle 6 del mattino.
Il cibo qui è più cinese che thai: noodle saltati con funghi di montagna, maiale brasato, tofu fermentato.
Il villaggio ha un checkpoint militare all’ingresso: Ban Rak Thai è considerato “sensibile” per la sua storia e la posizione di confine.
Non troverai bancomat né segnale cellulare decente: è voluto.
Qui sei fuori dal mondo.
E questo è un bene.
📅 Periodo ideale: ottobre–febbraio. Le nebbie rendono tutto magico.
🎒 Cosa portare: pile leggero, scarpe impermeabili, adattatore cinese.
🎥 Per i videomaker: lavora con profili piatti (S-Log2 o C-Log), sfrutta il controluce mattutino sulle coltivazioni.
🧠 Soft skill: non forzare mai le persone a farti da soggetto. Qui la cultura è discreta, e merita rispetto.
Ban Rak Thai mi ha insegnato che esistono confini invisibili.
Non quelli delle mappe, ma quelli che dividono il rumore dal silenzio, il turismo dall’incontro umano.
Qui ho capito che non devi sempre capire un luogo per amarlo.
Basta sedersi. Respirare. Osservare.
E lasciare che sia lui a parlare, con il vento, con l’acqua, con lo sguardo di una signora che ti serve tè senza parlare la tua lingua.
Non è solo un villaggio.
È una parentesi temporale.
Un’altra Cina, nel cuore della Thailandia.
E ogni volta che ci penso, il cuore mi si stringe un po’.
Forse è nostalgia.
Forse è solo amore vero.