đ PA MIANG â OLTRE LA GIUNGLA, DENTRO LâESSENZA
Reportage visivo e narrativo nel cuore nascosto della Thailandia del Nord
Reportage visivo e narrativo nel cuore nascosto della Thailandia del Nord
Ore 6:04 del mattino. La luce filtra tra le fronde come lame dâoro liquido. Un gallo canta da qualche parte oltre la nebbia. La giungla è ancora intrisa di vapore, e il silenzio ha il suono ovattato della foglia che cade.
Sto salendo a piedi lungo un sentiero sterrato di terra rossa. Davanti a me, una donna Karen porta un cesto intrecciato sulla schiena. Dentro: foglie di miang, umide e fragranti. Non mi guarda. Cammina. Come se io non fossi lĂŹ. Eppure, proprio questo mi fa sentire parte.
Benvenuti a Pa Miang.
Pa Miang è un villaggio immerso nel distretto di Doi Saket, a nord-est di Chiang Mai. A prima vista, è solo un puntino verde sulla mappa, raggiungibile con unâora e mezza di auto tra tornanti e altitudini che salgono.
Ma dietro quel verde, si nasconde una delle zone piĂš autentiche e stratificate del Nord Thailandia: una combinazione rara di tradizione agricola, cultura etnica, ritualitĂ legata al territorio e isolamento volontario.
Il nome stesso âPa Miangâ rivela la sua essenza: âPaâ (foresta), âMiangâ (le foglie di un tipo particolare di tè fermentato). Qui non si produce per il mercato. Qui si vive nella simbiosi col territorio.
Ho dormito in una homestay di bambĂš, sopraelevata, con il tetto che scricchiolava al vento. Niente wifi, niente segnale. Solo il crepitĂŹo del fuoco serale e le storie bisbigliate in Karen.
Durante il giorno ho seguito le donne nei boschi: selezionano solo alcune foglie, raccolte a mano, arrotolate su se stesse, poi lasciate a fermentare in teli di cotone grezzo.
I bambini giocavano con rami e fango. Gli uomini costruivano a mano staccionate con legature di bambĂš. Ogni gesto aveva una funzione e un ritmo.
Ho capito che non ero lĂŹ per guardare. Ma per assorbire.
Il Miang non è una bevanda. à un alimento, una pratica e una forma di aggregazione.
Le foglie, una volta fermentate, vengono masticate insieme ad altri ingredienti: zenzero, lime, noccioline, sale. Si mangiano lentamente, durante i momenti di pausa, come un rito.
Il Miang è legato al calendario lunare. Viene raccolto in momenti specifici, durante la luna crescente. Alcune comunità lo considerano sacro: un mezzo per entrare in connessione con gli spiriti della foresta.
Qui non si gira. Qui si contempla.
I soggetti sono lenti, ma carichi di simbolismo:
Mani che intrecciano bambĂš
Foglie immerse nel vapore
Volti silenziosi davanti al fuoco
Luce: al mattino è dorata, filtrata. Usate diaframmi aperti (f1.8 - f2.8) per creare distacchi visivi.
Audio: microfoni ambientali con filtro low-cut. Il suono del vento tra le foglie è parte della narrazione.
Drone: solo se indispensabile. Il villaggio non è uno spot, è un organismo vivo.
Distanza da Chiang Mai: 65 km circa
Tempo di percorrenza: 1h30 in auto privata
Punto di partenza ideale: Doi Saket
Altitudine: 800 m slm
Quando andare: novembre-marzo per clima secco e luci tenui
Nessun hotel. Solo homestay familiari. Portate contanti, acqua, rispetto.
Pa Miang mi ha insegnato lâetica dello sguardo.
In un mondo che vuole tutto, subito, documentato, qui ho trovato la libertĂ di non filmare tutto, di non raccontare per forza.
Ci sono storie che vanno custodite, non condivise.
E Pa Miang, forse, è una di queste.
Articolo, riprese e testo: Giacomo / Wild Travel Films